Nel centenario della morte di Puccini (1924-2024)
TOSCA
opera lirica in 3 atti di GIACOMO PUCCINI, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica
Prima rappresentazione: Roma, Teatro Costanzi 14 gennaio 1900
Floria Tosca – Diana Bucur
Mario Cavaradossi – Micael Spadaccini
Barone Scarpia – Carmine Monaco
Cesare Ancelotti – Gianfranco Zuccarino
Sagrestano – Angelo Nardinocchi
Spoletta, agente di Polizia – Giuseppe Maiorano
Sciarrone, gendarme – Gianfranco Zuccarino
Carceriere – Pino Montanaro
Pastorello – Maura Minicozzi
Maestro Direttore e Concertatore: Leonardo Quadrini
Regia: KATIA RICCIARELLI
Coro Lirico di Lecce
maestra Vincenza Baglivo
Coro di voci bianche Melody Accademy di Mina Minichiello
Orchestra Internazionale della Campania
Maestro sostituto: Veaceslav Quadrini Ceaicovschi
scene: Giuseppe Grasso
costumi: Macerata
service audio e luci: Accademia delle Opere
direttore di produzione: Bruno Carletti
direttore di scena: Francesco Tuzio
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Puccini aveva manifestato l’intenzione di scrivere un’opera basata sul dramma in cinque atti di Victorien Sardou “La Tosca“. Egli assistette ad una rappresentazione de “La Tosca” nel 1889 a Milano, rimanendone profondamente colpito: vi riconobbe subito il soggetto perfetto per un’opera lirica. L’editore Giulio Ricordi si attivò per avere i diritti dell’opera, ma sorsero alcuni problemi con Victorien Sardou che spinsero Puccini a rinunciare. Una confessione di Giuseppe Verdi al suo biografo (“Vi sarebbe un dramma che, se io fossi ancora in carriera, musicherei con tutta l’anima, ed è Tosca“) spinse l’editore Ricordi a ritentare la strada di un accordo per i diritti del dramma, questa volta con esito positivo. Il primo destinatario dell’incarico di comporre l’opera fu Alberto Franchetti, reduce dal recente successo del suo “Cristoforo Colombo” (1892). Pochi mesi dopo aver ottenuto l’incarico (fine 1893) Franchetti decise però di rinunciare all’opera. Fu così che gli subentrò Giacomo Puccini.
L’azione si svolge a Roma, il 14 Giugno 1800, data della battaglia di Marengo. La Repubblica Romana è caduta e feroci rappresaglie sono in corso verso gli ex-repubblicani simpatizzanti di Napoleone Bonaparte.
ATTO I Angelotti, bonapartista ed ex console della Repubblica Romana, fuggito dalla prigione di Castel Sant’Angelo, cerca rifugio nella chiesa di Sant’Andrea della Valle, dove sua sorella, la marchesa Attavanti, gli ha fatto trovare un travestimento femminile. La donna è stata ritratta, senza saperlo, in un quadro dipinto dal cavalier Mario Cavaradossi. Quando irrompe nella chiesa un sagrestano, Angelotti si nasconde nella cappella degli Attavanti. Il sagrestano, borbottando, mette in ordine gli attrezzi del pittore che di lì a poco giunge per lavorare al suo dipinto. Il sagrestano si congeda e Cavaradossi scorge nella cappella Angelotti, che conosce e di cui condivide la fede politica. I due stanno preparando la fuga ma l’arrivo di Tosca, amante di Cavaradossi, costringe Angelotti a rintanarsi nella cappella. Tosca espone a Mario il suo progetto amoroso, poi, riconoscendo la marchesa Attavanti nella figura della Maddalena ritratta nel quadro, fa una scenata di gelosia a Mario che, a fatica, riesce a calmarla. Angelotti esce dal nascondiglio e riprende il dialogo con Mario, che gli offre protezione e lo indirizza nella sua villa in periferia. Un colpo di cannone annuncia la fuga del detenuto da Castel Sant’Angelo; Cavaradossi decide di accompagnare Angelotti per coprirlo nella fuga e portano con loro il travestimento femminile, dimenticando il ventaglio nella cappella. La notizia di una vittoria delle truppe papaline su Napoleone fa esplodere la gioia nel sagrestano, che invita la cantoria di bambini a prepararsi per il Te Deum di ringraziamento. Improvvisamente giunge con i suoi scagnozzi il barone Scarpia, capo della polizia papalina che, sulle tracce di Angelotti, sospetta di Mario, anch’egli bonapartista. Per riuscire ad incolparlo e quindi scovare Angelotti, egli cerca di coinvolgere Tosca, ritornata in chiesa per informare l’amante che il programma è sfumato in quanto chiamata a cantare a Palazzo Farnese per festeggiare l’avvenimento militare. Scarpia suscita la morbosa gelosia di Tosca usando il ventaglio dimenticato nella cappella degli Attavanti. La donna, credendo in un furtivo incontro di Mario con la marchesa, giura di ritrovarli. Scarpia, raggiunto il suo scopo, la fa seguire, pregustando la doppia rivalsa su Cavaradossi, ucciderlo e prendergli la donna. In chiesa comincia ad affluire gente per inneggiare alla vittoria.
ATTO II Mentre al piano nobile di Palazzo Farnese si sta svolgendo una grande festa, nel suo appartamento Scarpia sta consumando la cena. Spoletta e gli altri sbirri conducono in sua presenza Mario che è stato arrestato. Questi, interrogato, si rifiuta di rivelare a Scarpia il nascondiglio di Angelotti e viene quindi condotto in una stanza dove viene torturato. Tosca, che poco prima aveva cantato alla festa al piano superiore, viene convocata da Scarpia, il quale fa in modo che ella possa udire le urla di Mario. Stremata dalle grida del suo amato, Tosca rivela a Scarpia il nascondiglio dell’evaso: il pozzo nel giardino della villa di Cavaradossi. Mario, condotto alla presenza di Scarpia, apprende del tradimento di Tosca e si rifiuta di abbracciarla. Proprio in quel momento arriva un messo ad annunciare che la notizia della vittoria delle truppe austriache era falsa, e che invece è stato Napoleone a sconfiggere gli austriaci a Marengo. A questo annuncio Mario inneggia ad alta voce alla vittoria, e Scarpia lo condanna immediatamente a morte, facendolo condurre via. Disperata, Tosca promette di donarsi a Scarpia se egli acconsentirà a liberare Mario. Scarpia convoca quindi Spoletta e, con un gesto d’intesa, fa credere a Tosca che la fucilazione sarà simulata e i fucili caricati a salve. Mentre, infine, sta consegnandole il salvacondotto che permetterà agli amanti di raggiungere Civitavecchia, Tosca gli si avventa contro e invece del sospirato amplesso Scarpia riceve una pugnalata al cuore.
ATTO III È l’alba. In lontananza un giovane pastore canta una malinconica canzone in romanesco. Sui bastioni di Castel Sant’Angelo, Mario è ormai pronto a morire e inizia a scrivere un’ultima lettera d’amore a Tosca, ma, sopraffatto dai ricordi, non riesce a terminarla. La donna arriva inaspettatamente e spiega a Mario di essere stata costretta ad uccidere Scarpia. Gli mostra il salvacondotto e lo informa quindi della fucilazione simulata. Scherzando, gli raccomanda di fingere bene la morte. Ma Mario viene fucilato veramente e Tosca, sconvolta e inseguita dagli sbirri che hanno trovato il cadavere di Scarpia, si getta dagli spalti del castello.